La sclerodermia (termine che etimologicamente significa “pelle dura”) è una grave malattia cronica e progressiva la cui origine non è ancora conosciuta. Sappiamo che il meccanismo alla base di questa patologia è di tipo autoimmune, dovuto ad un “impazzimento” del sistema immunitario che inizia ad attaccare i tessuti sani della persona con conseguenze che possono essere devastanti. Oltre alla cute vengono colpiti organi vitali come il cuore, i polmoni, i reni e l’intero apparato gastrointestinale. Le lesioni della pelle sono quindi solo l’aspetto esteriore più evidente della gravità di una patologia che di fatto colpisce tutto il corpo. La comparsa di ulcere cutanee è inoltre una spia della progressione della malattia e del conseguente peggioramento della qualità e della prospettiva di vita. Questa invalidità sconvolge l’autonomia del paziente, compromettendone le attività quotidiane più semplici e apparentemente banali.
La patologia considerata “rara” nel mondo non lo è ancora in Italia, se non nelle Regioni Piemonte e Toscana; eppure si stima che gli ammalati siano circa 20.000 e ci siano quindi i parametri per dichiararla tale. Fondamentale è l’informazione per una crescente diagnosi precoce con l’obiettivo di riconoscere il prima possibile i segni di progressione e offrire tempestivamente le cure più adeguate.
Un chiaro segnale di speranza deriva dall’indagine promossa dalle associazioni AILS (Associazione Italiana Lotta alla Sclerodermia; http://www.ails.it) e GILS (Gruppo Italiano per la Lotta alla Sclerodemia; http://www.sclerodermia.net), indagine che ha coinvolto migliaia di pazienti affetti da sclerodermia. L’indagine è stata condotta tramite un questionario inviato ad un numero significativo di ammalati, mirato a comprendere meglio il loro vissuto, la loro sofferenza e le loro aspettative. I risultati dello studio sono stati presentati nel corso di una conferenza svoltasi presso il Circolo della Stampa di Milano il 10 marzo, dalle Presidentesse delle associazioni pazienti GILS e AILS, Carla Garbagnati e Ines Benedetti, con il supporto di due medici dei loro rispettivi Comitati Scientifici: il Dr. Lorenzo Beretta e la Dott.ssa Nicoletta Del Papa.
Un’importante indicazione che si evince dai dati è la necessità di offrire maggiori informazioni sulla patologia ai pazienti stessi, il 10% dei quali non ha ben chiara quale forma di sclerodermia sia stata diagnosticata. Un altro aspetto importante e di per sé drammatico è che il 50%, ha o ha avuto ulcere alle dita delle mani, ma solo il 58% si è immediatamente rivolto allo specialista di riferimento (reumatologo/immunologo) alla comparsa delle prime lesioni.
La diagnosi e le relative cure rischiano di essere così ritardate in oltre il 40% dei casi.
Si conferma che le ulcere digitali sconvolgono la vita quotidiana delle persone. Infatti l’86% dei pazienti afferma di aver subito un significativo peggioramento della qualità di vita a causa di una condizione dolorosa difficilmente gestibile.
L’84% dei malati richiama l’attenzione sulla limitazione causata dalle ulcere digitali nello svolgimento del proprio lavoro e il 71% dichiara un peggioramento nella gestione delle relazioni sociali.
A causa di una difficile comunicazione tra medico e paziente, il 30% dei malati non è a conoscenza del fatto che esistono specifici trattamenti locali e il 33% non assume farmaci specifici per la riduzione della comparsa di nuove ulcere.
La speranza degli ammalati, ben il 97% delle due associazioni, è rivolta alla consapevolezza che esistono centri ospedalieri specializzati, dedicati alla cura e alla prevenzione delle ulcere digitali e delle altre complicanze tipiche della sclerodermia.
In conclusione, un’efficace collaborazione tra medici, associazioni e pazienti può finalmente aprire una prospettiva concreta per una diagnosi precoce della malattia e della sua progressione e per la ricerca di interventi terapeutici più mirati ed efficaci.
Guarda l’indagine completa Le Nostre Mani
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